Michele Govoni
Nel mondo spesso superficiale e frettoloso dell’arte contemporanea, l’arte di Flavio Biagi tende a rallentare il ritmo dell’esistenza, ruotando all’indietro la manopola “Jog&Shuttle” del video dell’esistenza e ponendosi ad osservare e raccontare il passato industriale. Macchine, spazi che profumano di esistenze lubrificate di acqua emulsionata, tubi e passaggi. Sono questi i Barbacani del pittore bolognese il quale, basandosi sul concetto di un’industria persa nei meandri delle esistenze, nelle infinite estati italiane sull’Autostrada del Sole, nei telegiornali di prima serata e in un’Italia che, pur mutando i tempi, si ritrova sempre simile a se stessa, mette in luce una modalità espressiva nuova e prolifica. Così, se nel lavoro su tela, portato avanti con la veloce tecnica dell’acrilico, pone in essere valori chiari e cromaticamente forti, nei disegni su carta cerca una differenziazione tecnica che rivela una tendenza diversificante della valenza che egli vuole attribuire alle sue opere. Nascono così le opere in cui si contrastano “leggerezza” di tecnica e “pesantezza” di tema (nell’acquerello) e viceversa nella tempera. Le opere realizzate con la penna biro, dal canto loro, mostrano un carattere più strettamente progettuale, caratterizzato da brevi ed abbozzate esistenze tecniche ma al tempo stesso dettagliate descrizioni. L’uso della china in parte della produzione dell’artista bolognese funge da dichiarazione di una poetica che è chiaramente indirizzata verso un’interpretazione in chiave grafica della realtà passata e di quella presente. Dichiarazione, quest’ultima, che trova la sua naturale prosecuzione nelle opere realizzate con tecnica digitale. In esse tutto lo spirito d’osservazione, rielaborazione ed esposizione del tema raggiunge quell’accuratezza che tendono a renderlo perfetto esteticamente ed accattivante dal punto di vista semantico. Un lavoro indubbiamente interessante quello dell’artista bolognese che, esplorando con occhio attento quanto il passato ci ha lasciato, tende a rileggere un oggi che non soddisfa e che appare sempre più come residuo di fondo di una storia ricca e proficua.
Michele Govoni
giornalista, critico d’arte